Condividiamo le riflessioni dell’amico Marco Tosi, guida alpina
L’immobilità forzata, a cui talvolta sono costretto da qualche incidente nel mio percorso di girovago dei monti, imprigiona il corpo ma apre la mente a riflessioni sul futuro e porta a fantasticare lungamente su nuove mete ma soprattutto su nuovi stili e atteggiamenti. Un mese senza poter camminare da un valore così alto a tale verbo, che già amo follemente declinare, dal portarmi a sognare di poter fare solo quello per il resto della vita, con le note di esplorazione, conoscenza e arricchimento a tale verbo indissolubilmente legate.
Il camminare infatti, più dell’arrampicare, del pedalare, dello sciare, del nuotare e di tutte le altre attività motorie porta, a mio modesto avviso, a un ampliamento della voglia di conoscere, scoprire, riflettere e condividere. In quest’ultimo lockdown del cammino, non dovuto a un virus ma alla banale rottura del ramo di una quercia, peraltro bellissima, mi sono spinto a pensare, come Guida Alpina, ad una proposta che sottende un’idea diversa di concepire le escursioni e le salite, un modo che sperimento da tempo e in cui il fine ultimo non sia più la cima, la vetta o il colle ma l’esperienza in sé; a ben vedere l’obiettivo delle persone sagge non è mai stato la sola vetta ma, quantomeno, il ritornare a valle sani e salvi.
Ciò che ho l’occasione di incontrare e condividere lungo il cammino, che sia una fioritura, una roccia dai colori particolari, un animale selvatico che si palesa regalando un attimo di stupore, la trasparenza del rumore di un torrente, i punti di domanda di un cielo stellato, deve assumere un valore molto più alto della foto di vetta, peraltro spesso rovinata da un’orribile croce (osservazione che assume maggior valore in quanto fatta da un cristiano credente). Porre la vetta come limite fisico e mentale dell’esperienza è sbagliato, in quanto toglie nobiltà, senso della scoperta e stupore alla discesa, ed è pericoloso, perché per scendere bisogna conservare energie, voglia ed entusiasmi.
Ho dunque pensato ad alcune escursioni, che proporrò più nel dettaglio appena riuscirò a tirarmi in piedi, in cui la meta e l’obiettivo non siano più una cima ma un luogo dalla particolare fascino o bellezza ma soprattutto il modo e lo spirito con il quale lo si raggiungerà. Per una serie di motivi ho pensato all’alpe Devero, luogo che frequento dall’infanzia e che sento il dovere di conservare incantevole, che non sarà più quindi il punto di partenza dell’escursione, facilmente raggiungibile in automobile (a onor del vero ultimamente non così facilmente!) ma la meta, dopo lunghi percorsi di avvicinamento a piedi.
Rinunceremo ai mezzi a motore, per lo meno da Croveo o da Baceno, partendo a piedi dai paesi e privilegiando l’uso di mezzi pubblici per arrivarvi (treni e autobus di linea). E il calare sul Devero dalla val Buscagna o dalla bocchetta di Scarpia, dopo due giorni di cammino in autosufficienza, dopo una notte all’addiaccio, dopo pasti frugali, ci darà l’occasione impareggiabile di vivere la piana Naturalmente, lontani da artifici e inquinamenti… e tutto assumerà un fascino nuovo.