L’Alpe Devero è un alpeggio ancora vivo. L’ampio pianoro è un’estesa area prativa che viene annualmente falciata e la cui erba viene trasportata nelle stalle per gli animali della valle. Ogni anno, inoltre, intorno alla metà di giugno gli allevatori dei paesi sottostanti portano le vacche a pascolare in quota, con tappe progressive dall’Alpe Devero fino ai più alti alpeggi di Buscagna, Sangiatto, Pianboglio e poi Forno. Durante la stagione estiva l’erba delle alte praterie nutre le vacche e dal loro latte vengono prodotte forme di formaggio di pregevole qualità. E’ a metà settembre che con la festa dello “scarghè” gli alpeggi vengono scaricati e le bestie e i pastori ritornano a valle.
La prateria da fieno fa parte dunque del paesaggio e del lavoro tradizionale da alcuni secoli. Elementi tipici erano il baitello per l’abitazione stagionale e per la preparazione del formaggio e accanto la stalla, con lunghe mangiatoie a raso terra e un fienile al piano superiore con un finestrone per caricare il fieno.
Attorno era il prato, drenato e dissodato, che veniva falciato a metà luglio quando l’erba è più profumata e saporita, concimato dagli animali al pascolo e difeso dall’avanzamento spontaneo del bosco o degli arbusti circostanti.
Un lavoro secolare, in molte aree del Devero ancora vivo, che ha conformato il paesaggio disegnando le distese prative che si accendono di ranuncoli gialli in giugno, si colorano poi di bianchi cerfogli, o bruniscono in autunno con i riflessi caldi dell’erba secca. Ma un prato è anche un ecosistema pregiato, in cui convivono, nel corso delle stagioni, le specie erbacee, gli insetti che le impollinano, gli uccelli che vi nidificano, le talpe, le arvicole e i lombrichi sottoterra, i cervi e i caprioli che vengono a nutrirsi. E’ un ambiente frequentato da numerosi uccelli, dove trovano cibo tra gli altri l’aquila reale, il pecchiaiolo, il nibbio bruno, il gracchio corallino e la ghiandaia. Si tratta, inoltre, di un’area di caccia per i pipistrelli.
Un delicato equilibrio
Il prato è un habitat fragile e protetto. Sono numerose le minacce che ne possono alterare l’equilibrio. Una viene proprio dal pascolo stesso: le deiezioni delle vacche rendono molto acido il suolo dando origine a specie erbacee che colonizzano il terreno: le lavazze dalle foglie larghe (Rumex alpina) e le ortiche (Urtica dioica) prendono il sopravvento e con le loro lunghe radici sotterranee permangono anche anni dopo che gli alpeggi sono abbandonati. E’ così negli alpeggi abbandonati di Misanco, delle Alpi del Grande Est e perfino ai Piani della Rossa. Dove i pascoli sono numerosi, anche il calpestio degli animali e il letame fresco danneggiano le erbe e il prato.
D’altra parte, il progressivo abbandono dell’attività pastorale senza l’attività di cura e sfalcio porta alla riduzione progressiva delle aree prative. Altra minaccia proviene infatti dai confini del prato, che non è un ambiente originario e in cui cespugli di lamponi, mirtilli, ginepro possono diffondersi rapidamente ibridando l’habitat. Le raccomandazioni naturalistiche invitano allo sfalcio annuale, quando il prato è maturo, i fiori e gli insetti si sono incrociati e l’asporto dell’erba secca possa far respirare e idratare le erbe e prepararle alla stagione fredda.
Una pianta erbacea di ampia diffusione è il veratro (Veratrum album), che cresce a giugno con ampie foglie verde intenso e una vistosa fioritura. Come per le lavazze e le ortiche, la bonifica della prateria per conservarne la biodiversità vede lo sradicamento, fatto a mano con il piccone, delle piante più infestanti che tolgono spazio alle altre specie.
Ma i risultati sono appaganti: la stessa zona dopo pochi anni vede il prato popolato di specie anche rare: nella foto Pilosella, Arnica (Arnica montana) , raponzolo montano ( Phyteuma nigrum), cerfoglio, codolino (Phleum pratense), orchidee (Dactylorhiza sambucina, Dactylorhiza maculata).
Altrove, come a Crampiolo, è la pressione crescente di visitatori che escono dai sentieri, si stendono per fare pic-nic o prendere il sole, calpestano le erbe o raccolgono i fiori, che sciupa e deturpa l’ambiente stesso da cui sono attratti.
Una prateria nelle diverse stagioni: il Vallaro.
Con lo sciogliersi delle nevi le erbe iniziano a risvegliarsi. Alcune piante erbacee hanno gemme che svernano al livello del suolo protette dalla neve o dalla lettiera (sostanze organiche morte situate sulla superficie del suolo, come rami, foglie e animali ). Altre gemmano sottoterra, crescendo da bulbi, tuberi o dai rizomi, che sono radici legnose che si estendono sotto il terreno in modo orizzontale. Altre piante, che completano in un anno il loro ciclo vitale, ma più rare in ambiente montano, affidano a semi la propria continuazione.
I primi colori sono il blu cobalto della genziana (Gentiana clusii e Gentiana acalulis), accompagnato dal giallo dei ranuncoli ; poco dopo l’azzurro dei non ti scordar di me (Myosotis alpina ). Poi il prato verdeggia pian piano, fino all’intenso colore dell’erba di maggio da cui emergono specie diverse a seconda del terreno sottostante; la piccola alchemilla e la potentilla dorata, le bellissime orchidee bianche violette e poi più quelle azzurro intense; il giallo tarassaco.
I trifogli, così come gli arbusti di ontano che crescono lungo il ruscello, svolgono una particolare attività nel ciclo vitale. Una delle funzioni del prato e delle piante è mettere in circolazione un elemento necessario alla vita organica, l’azoto, che si trova nell’atmosfera allo stato di gas. L’azoto è indispensabile per costituire il DNA e le proteine costituenti gli esseri organici, ma gli animali non sanno attingerne direttamente. Le piante invece attraverso le proprie radici sanno assorbire composti azotati e alcune di esse, come appunto i trifogli e gli ontani, ospitano presso le proprie radici dei batteri particolarmente attivi nel captare l’azoto e rendere più acido il terreno. Nella catena alimentare, l’azoto giunge alle piante per poi essere mangiato dagli erbivori, successivamente prede dei carnivori, per poi tornare nel terreno con la decomposizione degli organismi e attraverso altri batteri essere rilasciato nell’atmosfera.
E’ finita l’estate.
Nella quiete autunnale le radici e il manto erboso marciscono; i decompositori trasformano le piante in nutrienti e arricchiscono l’humus; rane e piccoli mammiferi si riparano dai freddi in arrivo.
10 agosto 2020 Renata Farina