di Michele Romagnoli
Panorami aperti, altopiani morbidamente disegnati dai ghiacci primordiali, pascoli cresciuti sui sedimenti di antiche frane; creste frastagliate, cime scolpite dall’erosione, rocce la cui diversa forma, colore e sostanza rivela origini remote e stupefacenti. E ancora: boschi di larice e arbusteti di alta quota capaci di resistere ai rigori delle stagioni fredde, preziose torbiere e praterie ricche di vita e biodiversità; e le mani sapienti di generazioni passate, ad addomesticare il paesaggio e a costruire architetture tradizionali di pietra e di legno, in coerente armonia con l’ambiente circostante.
Tutto questo e molto altro costituisce il patrimonio unico e fragile del territorio del Parco Devero e delle vallate circostanti. Lo sguardo del visitatore ne resta inevitabilmente catturato e affascinato: contemplando il paesaggio da un punto ben esposto – una cimetta facile da raggiungere, la vetta di un monte o una bocchetta (una “scatta”) – si prova un senso di impotenza, nell’ impossibilità di abbracciare la vastità e comprendere ( prendere con sé) la ricchezza di ciò che è di fronte a noi.
Tra i molti modi per apprezzare e assimilare tanta bellezza, ve n’è uno che non ha bisogno di cartine né itinerari, non richiede grandi sforzi, allenamento e nemmeno abilità alpinistiche. Perché non c’è nessuna mappa possibile per guidarci dove solo la curiosità e il desiderio di scoperta possono condurci. Basterà infatti camminare lentamente, fermarsi di tanto in tanto, con lo sguardo puntato dritto davanti ai nostri piedi, per scoprire architetture, forme e colori stupefacenti, dettagli di un microcosmo su cui talvolta mettiamo i piedi distrattamente.
Sono le innumerevoli espressioni della flora alpina , che si manifesta nel Parco e nelle aree limitrofe con infinita varietà e generosità. Dal tempo del disgelo, con la comparsa dei primi temerari esemplari (apparentemente fragili, eppure così forti e tenaci!) tra una chiazza e l’altra di neve, all’esplosione di vitalità e colori dei mesi di giugno e luglio, fino alle fioriture tardive alle quote più alte, dove il ciclo annuale di fiori, frutti e semi diventa una sfida contro il tempo (quello del calendario, e quello meteorologico …).
Sembra improprio parlare di “architettura” riferendosi a diverse forme della natura … ma avvicinando lo sguardo su un qualsiasi fiore di quest’angolo di paradiso, studiandone i minuscoli dettagli, la complessità, le simmetrie, le sfumature, sarà facile convincersi che proprio di architetture si tratta: di grandiose espressioni di creatività e meraviglia concentrate nelle dimensioni di un dito, di un’unghia, e anche meno! Frutto di invenzioni ed evoluzioni che hanno saputo rispondere con fantasia e originalità alla severità dell’ambiente alpino: per l’intensità dei raggi solari, la violenza dei venti, le temperature rigide, il peso delle nevi … Un piccolo manuale di sopravvivenza, ma anche una favolosa esibizione di eleganza e colori, per conquistare il favore degli indispensabili insetti impollinatori.
E non ci si riferisce qui solo agli esemplari più “famosi” e appariscenti, spesso riprodotti sulle copertine dei libri, sulle etichette dei liquori, o citati nelle insegne degli alberghi di montagna … perché, come è facile verificare, anche il più timido e umile componente della comunità dei fiori ha le carte in regola per stupirci.
Le immagini che seguono non vogliono essere un “atlante” della flora alpina, né un elenco sistematico o un catalogo esaustivo dei fiori del territorio di Devero. Sono esempi proposti in ordine sparso, senza seguire itinerari precisi, così come sparsi sono i fiori in mezzo a un prato: perché mettere ordine in questa sconfinata manifestazione di biodiversità è un’esigenza tutta umana, nel tentativo di vincere il timore suscitato da tanta vitalità apparentemente disordinata.
Questa piccola galleria di fiori d’alpe è un invito a contemplare e a riflettere. Così che il camminare lento diventi un modo per accrescere e consolidare la consapevolezza del valore delle sole ricchezze che davvero meritano di essere amate, custodite e difese.
Tra i più timidi e fugaci esempi della flora d’alpe, la Soldanella alpina merita senz’altro un posto di riguardo: la si potrà vedere al disgelo, tra una chiazza e l’altra di neve, dopodiché farà perdere ogni traccia di sé, salvo ricomparire puntuale l’anno seguente.
La Soldanella appartiene alla stessa famiglia delle primule, e deve il suo nome alla forma tondeggiante – simile a quella di un “soldino” – delle foglioline poste alla base del fiore. La sua fragilità è solo apparente, perché è in grado di popolare i terreni freddi, asfittici e inzuppati d’acqua caratteristici della fase del disgelo.
I candidi batuffoli cotonosi degli eriofori non passano certo inosservati quando riempiono le torbiere e le zone paludose d’alta quota, come avviene ad esempio presso l’Alpe Forno (nella foto sopra) …
… Oppure al Passo di Pojala, altopiano a quota 2400 metri. Pochi sanno che gli eriofori appartengono alla stessa famiglia del papiro egiziano, quella delle Cyperaceae, che raggruppa piante adatte a vivere in ambienti paludosi.
Con un po ‘di attenzione, camminando nei pressi di zone umide è possibile notare di due diverse specie di eriofori, che formano in genere colonie omogenee: l’Eriophorum Angustifolium, caratterizzato da ciuffetti cadenti (foto sopra), e l’Eriophorum Vaginatum, con batuffoli bianchi di forma più sferica (foto sotto).
In entrambi i casi, le masse bianche cotonose sono costituite da setole atte a favorire la disseminazione anemofila.
Rimanendo in ambiente … acquoso, vale la pena dedicare qualche parola allo Sparganium angustifolium, pianta che affonda le sue radici nei fondali dei laghetti alpini poco profondi, mentre le lunghe foglie filiformi galleggiano sul filo dell’acqua …
Lo Sparganium è considerata pianta rara nell’intero arco alpino, ma nel territorio del Parco è facile osservarla ad esempio nei laghi del Sangiatto, o nelle numerose pozze presenti sugli altopiani del “Grande Est”.
Nel periodo della fioritura, tra i mesi di luglio e agosto, è interessante osservare i curiosi frutti che sbucano dalla superficie dell’acqua, sostenuti da piccoli fusti eretti.
I terreni di montagna sono talvolta carenti di alcuni elementi nutritivi necessari al pieno sviluppo della vegetazione. Ma c’è chi ha saputo far fronte a questo problema adottando una strategia che forse agli animi più sensibili potrà apparire un po ‘… cruenta!
E’ il caso della fragile e poco appariscente Pinguicula leptoceras , che come tutte le specie appartenenti alla famiglia delle Lentibulariaceae , compensa la carenza di azoto del terreno nutrendosi di piccoli insetti, che attira, cattura e digerisce per mezzo delle foglioline basali ricoperte di apposite sostanze ed enzimi digestivi. Questa indole carnivora tuttavia non ci impedirà di osservare la delicatezza e l’eleganza dei suoi piccoli fiori. Numerosi esemplari di pinguicole si possono incontrare ad esempio percorrendo il sentiero che costeggia la sponda orientale del lago di Codelago, oppure salendo da Pedemonte verso l’Alpe Misanco.
Nonostante le sue preferenze alimentari, la timida e riservata pinguicola non si può considerare pericolosa. Qualcosa di ben diverso può dirsi invece riguardo a un fiore decisamente più grande e vistoso, seppure non molto frequente …
Il suo nome, in greco antico, significa “pianta velenosa”: è l’Aconitum napellus , detto volgarmente aconito. I suoi fiori si fanno decisamente notare: per colore blu-viola intenso, per la dimensione e la forma caratteristica ad “elmo”. Ma sotto questo abito elegante si nasconde una delle piante più velenose della flora italiana, a causa del suo contenuto di alcaloidi: una classe di sostanze tossiche attive a livello del sistema nervoso centrale. E ‘mortale per ingestione, e il semplice contatto con la pianta (ad esempio, impugnando un mazzo di fiori) causa già irritazione a livello locale e lieve intossicazione.
L’aconito non è l’unica pianta velenosa presente all’interno del territorio di Devero. Infatti, alcaloidi tossici sono presenti anche nel Veratrum album , per gli amici veratro, ampiamente diffuso su tutto l’arco alpino.
” La genziana gialla è velenosa, non si può usare, anche gli animali la evitano … Noi usiamo la genziana rossa!” Così mi disse molti anni fa un vecchio pastore, parlando dei fiori utilizzati nella tradizione popolare locale. In realtà, citando impropriamente la “ genziana gialla ” si riferiva al veratro, che risulta tossico anche per il bestiame. La confusione tra veratro e genziana è dovuta alla somiglianza tra le foglie delle due piante, soprattutto quando il fusto non è sviluppato in altezza e la fioritura non è ancora avvenuta.
I fiori del veratro, più che gialli sono di colore verdastro e si dispongono a spiga lungo il fusto verticale. Non si tratta di un fiore particolarmente elegante, ma osservando i singoli elementi dell’infiorescenza è possibile comunque apprezzarne la forma caratteristica.
Il vecchio pastore, citando la “genziana gialla”, ci porta inevitabilmente a parlare di questo fiore, o meglio delle numerose specie di Gentiana presenti nel Parco Devero e nei territori limitrofi. Ed è curioso osservare che proprio le specie di genziana con i fiori gialli, tra cui la pregiata Gentiana lutea o Genziana maggiore (la specie officinale per eccellenza), è praticamente assente nel territorio considerato, ad eccezione di rari esemplari di Gentiana punctata .
La Gentiana punctata deve il suo nome alla fine punteggiatura nera dei suoi fiori, ed è molto più frequente nei territori alti della Val Formazza, ad esempio nei pressi dei laghi del Boden o del Passo di Nefelgiù.
Decisamente più comune è invece la maestosa Gentiana purpurea, che rivela nel nome il colore dei suoi fiori.
Elemento caratteristico delle genziane, che permette di distinguerle dal veratro già prima della fioritura, è la presenza di foglie “opposte” lungo il fusto, disposte a due a due ortogonalmente; nel veratro le foglie sono invece “alterne”.
Il genere Gentiana , come già detto, è presente in numerose specie dalle forme, dimensioni e tonalità molto diversificate. La Gentiana germanica (denominata anche Gentianella rhaetica) è caratterizzata da piccole infiorescenze di colore azzurro-violetto; la base dei petali è impreziosita da una corona di filamenti del medesimo colore.
La Gentiana di Koch (o Gentina acaulis), comunemente nota come genzianella, è forse la più popolare delle genziane, spesso riprodotta sulle etichette di liquori e amari di montagna.
La visione ravvicinata di questo fiore ne svela i curiosi dettagli, come la punteggiatura all’interno della corolla e il ciuffetto chiaro costituito dai due stimmi sfrangiati, sulla sommità dell’ovario.
Tutte le genziane possiedono radici rizomatose ramificate contenenti amarogentina, forse la sostanza più amara esistente in natura. Per tale motivo, e per altri principi attivi contenuti nella radice, la genziana è molto apprezzata in campo fitoterapico e per la preparazione di grappe e liquori.
A proposito di liquori e preparazioni erboristiche, proviamo per un momento ad alzare lo sguardo verso i rami di qualche larice …
Nella tarda primavera, sui rametti dei larici (Larix decidua) non è difficile scorgere i fiori femminili, evidenti per il colore rosa e la posizione eretta, decisamente più vistosi di quelli maschili (visibili nella foto a destra), che sono di dimensione più ridotta e di colore giallastro.
I fiori femminili del larice, una volta impollinati, si trasformano in piccole pigne legnose destinate a proteggere i semi. Le cosiddette “gemme di larice” (in realtà i fiori femminili) trovano impiego nella tradizione popolare per la preparazione di macerati con proprietà medicamentose.
Abbassando nuovamente lo sguardo verso il basso, localizziamo un cespuglio di mirtilli: la tarda primavera non è certo tempo di raccolto, ma è proprio in questo periodo che è possibile osservare i fiori del Vaccinium Myrtillus prima che si trasformino nelle prelibate bacche.
La delicatezza e il colore tenue di questi fiori dalla forma orceolata sfuggono spesso all’attenzione dei viandanti.
L’aggettivo “orceolato” è usato in botanica per descrivere le corolle di forma tondeggiante, con l’imboccatura più stretta del corpo, simili a un orcio. Tale conformazione è tipica dei fiori appartenenti alla famiglia delle Ericaceae (come il mirtillo) e può essere osservata anche in un’altra piccola pianta, piuttosto rara, presente nel territorio del Parco: la Pyrola minor.
I fiori del mirtillo e della pirola ci hanno introdotto nel microcosmo della flora più minuta, che proprio per questa caratteristica è particolarmente ricco di sorprese.
E ‘il caso ad esempio della Pseudorchis albida , il cui nome significa “falsa orchidea di colore chiaro”. Sul colore si può essere d’accordo, ma sul fatto che si tratti di un falso proprio no! La Pseudorchis è in tutto e per tutto un’orchidea selvatica, come rivela la foggia dei suoi fiori, che nonostante i pochi millimetri di dimensione sono completi di lobi e di “sperone”.
Quando pensiamo un’orchidea ci vengono in mente … il regalo elegante per un’occasione particolare, un vaso di fiori dietro ai vetri di una finestra, le cure attente di qualche raro appassionato intento a far vivere e rifiorire il proprio giardino domestico … Scoprire di essere circondati da orchidee selvatiche può essere una piacevole sorpresa per chi si trova nell’area del Parco e nei territori adiacenti. Certo, la dimensione dei fiori è altra cosa rispetto all’esibizionismo delle varietà coltivate, ma quanto a eleganza, bellezza, varietà, le orchidee spontanee non hanno nulla da invidiare …
La Neotinea ustulata è un altro meraviglioso esempio di come nel minuscolo e nel seminascosto è possibile scoprire forme e colori stupefacenti. Il termine ustulata significa “bruciacchiata” e fa riferimento all’aspetto abbrustolito dell’infiorescenza, che appare più scura sulla sommità rispetto alla base.
Sono davvero numerose le specie di orchidee presenti in questo angolo di Lepontine, tra le quali molto comune è la Dactylorhiza sambucina (orchidea sambucina), che può presentare infiorescenze di colore rosa-porpora oppure giallo. E’ facile trovare esemplari dei due colori sparsi nel medesimo prato fiorito.
A sinistra: Dactylorhiza maculata (orchidea maculata), riconoscibile per le evidenti macchie scure presenti sulla superficie delle foglie. A destra: Orchis mascula (orchidea maschio).
Dopo questa sfilata di orchidee, anche per non contraddire le buone intenzioni espresse inizialmente, è bene tornare a volgere lo sguardo verso esemplari di flora meno appariscenti, tanto umili quanto curiosi …
La Saxifraga bryoides appartiene alla numerosa famiglia delle Saxifragaceae , che riunisce piantine spesso poco vistose che crescono sopra le rocce, affondando le radici tra le fenditure (da cui il nome di derivazione latina, dove saxum significa pietra e frangere si riferisce all’apparente capacità delle radici di rompere le rocce). Se osservati con attenzione, i fiorellini delle saxifraghe rivelano la loro eleganza, come dimostra l’immagine di destra dove sono visibili la punteggiatura gialla dei petali e le antere arancioni al termine degli stami disposti a raggiera.
Pianta molto umile e piuttosto comune che popola terreni incolti a quote non elevate, l’ Hypericum perforatum (iperico, vedi figura sopra) merita una menzione particolare per le sue riconosciute proprietà terapeutiche: la tradizione erboristica locale prevedeva l’impiego delle sommità fiorite per la preparazione di macerati oleosi (oleoliti) utilizzati per la cura delle scottature. Più recentemente all’iperico sono state riconosciute proprietà antidepressive. I puntini neri visibili sui petali sono piccole ghiandole oleose; se stropicciati, i petali rilasciano sulle dita un’essenza di colore rossastro. Esemplari di iperico possono essere osservati ad esempio lungo la mulattiera che da Goglio conduce all’Alpe Devero.
Cosa c’è di più comune di un trifoglio? Pianta della famiglia delle Fabaceae dai caratteristici fiorellini rosati, diffusa dalla pianura fino ai pascoli di montagna, il trifoglio comune ( Trifolium pratense ) ha un suo parente alpino: il Trifolium alpinum, visibile nella foto sopra, che popola le praterie al di sopra dei 1500 metri. I fiori della specie alpina hanno una corolla più allungata e una colorazione più intensa della specie di pianura.
Nei mesi di giugno e luglio le fioriture dei trifogli alpini, talvolta accompagnate da quelle dei rododendri, aggiungono ulteriore fascino ai panorami di alta quota, si vede nella foto sopra, scattata nelle praterie tra il Monte Cazzola e la val Bondolero.
Tra le fioriture più abbondanti dell’Alpe Devero va certamente citata quella della Pulsatilla alpina, presente in tutto il territorio in numerose sottospecie, tra cui la più comune è la apiifolia , dai fiori di colore giallo intenso.
Passato il momento della fioritura, le pulsatille cambiano drasticamente abito, assumendo un aspetto decisamente curioso: caduti i petali, i numerosi ovari presenti al centro del fiore si trasformano in frutti (acheni) di forma affusolata, ciascuno provvisto di una coda piumosa di colore rossastro o argentato, che ne facilita la dispersione con il vento (a destra, nella foto sopra).
Tra le varie specie di pulsatille, la Pulsatilla vernalis si è adattata a vivere alle quote più alte: per fare questo, ha ridotto l’altezza del fusto e si è ricoperta di una fitta peluria, che con i raggi del sole dona ai delicati fiori un aspetto iridescente.
Questa sorta di “non-itinerario” tra le … architetture naturali dell’Alpe Devero e dei territori circostanti potrebbe proseguire all’infinito. Ma come si è detto, si è voluto qui proporre un semplice invito alla contemplazione. Quale può essere quindi un’immagine conclusiva in grado di riassumere e rappresentare la moltitudine delle forme e dei colori, l’infinita varietà di un patrimonio floristico impossibile da contenere e descrivere in pochi scatti fotografici? Un’immagine del genere non esiste …
Giunti fino a qui, si può solo immaginare di camminare lentamente, scendendo a poco a poco di quota, senza smettere di guardarsi intorno. E capiterà magari, prima di raggiungere l’auto per tornare a casa, di incrociare con lo sguardo i curiosi riccioli viola intenso di un Phyteuma orbiculare , o l’insolita corolla di una Campanula barbata mutante, che ha messo da parte il consueto abito di colore azzurro pallido, per vestirsi di bianco candido …
Gran parte della flora citata nell’articolo è sottoposta a vincolo di protezione e ne è vietata la raccolta. Nessuna parte del testo qui riprodotto deve essere interpretata come invito alla raccolta. Il rispetto della flora alpina è condizione indispensabile alla tutela della biodiversità.
24 dicembre 2020
Fotografie di Michele Romagnoli, tranne dove diversamente indicato.
Fonti consultate: www.actaplantarum.org ; www.clubaquilerampanti.it
Vedi anche: Fiori
Fiori e colori dell’Alpe Devero
La flora dei Parchi dell’Ossola: conoscere, osservare, rispettare